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KNAP JAN - TEXTS

Jan Knap. Owero l'elegia pittorica del quotidiano 
di Luca Beatrice

Anche se la stagione dei grandi cambiamenti nel rapporto con la storia e la tradizione viene di norma riferita agli anni '80, è il decennio precedente a inaugurare una differente lettura del "passato", portandosi dietro una possibilità alternativa rispetto alla linea evoluzionistica dell'arte, sinteticamente concepita in parole come "modernità" e "avanguardia". Prima ancora che le arti visive, già 'architettura, il cinema e la letteratura, dalla metà degli anni '70, aboliscono il divieto dello sguardo a ritroso, inaugurando cosi quello che sarà uno dei must teorici di fine del XX secolo, ovvero il postmoderno. In questa visione, sono fatti ormai noti ai piú, la storia non costituisce piú un peso, un fardello di cui liberarsi, ma si trasforma invece in un autentico bacino di spunti e idee che possono costituire un archivio infinito da investigare. Dalla rilettura alla citazione, dal remake al prelievo decontestualizzato, uno dei luoghi piú significativamente tornato a galla negli anni '80 è il museo (a inizio secolo i Futuristi lo vedevano come il primo ostacolo da abbattere in direzione di una cultura del progresso): di conseguenza, diversi artisti "scoprono" infinite risorse proprio nella pittura classica, ovviamente riletta, interpretata, riutilizzata attraverso un adeguato filtro concettuale.
      In Italia, e in largo anticipo, si mettono in evidenza due artisti con lo sguardo intelligentemente rivolto al passato ma sulla cui militanza nell'avanguardia non ci sono dubbi. Salvo, dopo aver esaurito il ciclo degli autoritratti fotografici e delle "sostituzioni", inaugura verso il 1973-74 una pittura che fa riferimento ai dipinti manieristi italiani e del nord Europa, riprendendo alla lettera soggetti dell'iconografia sacra (come San Giorgio e il drago) ma colorati con toni acidi che esprimono la modemitá sintetica del nuovo gusto. Luigi Ontani, i cui primi lavori nascono, piú o meno negli stessi anni, in ambito performativo e body, indossa egli stesso i panni di personaggi chiave per la sua idea super-estetica di religiositá, San Sebastiano trafitto dalle frecce durante il martirio, oppure assume le pose artificiose nei d'apres di quadri celebri, come il San Luca dipinto dal Guercino, a metà tra foto-pittura e tableau vivant.
      E' importante notare che questa "tendenza" (non un ristretto gruppo, piuttosto una nuova linea di gusto) fu racchiusa nella mostra La ripetizione differente, dai contenuti indubbiamente premonitori, curata da Renato Barilli presso lo Studio Marconi di Milano (1974), che comprende esperienze, tutte ugualmente sotto il segno della rilettura storica, che vanno dal concettuale al minimale, dalla pop art alla pittura figurativa, iperrealismo compreso. Ma questo sguardo a ritroso non accade solo in Italia, perché anche l'arte tedesca comincia una sorta di "revisione" (persino necessaria) all'interno di se stessa, e ci sono esperienze altrettanto significative come quella del gruppo Normal formato da Peter Angermann, Jan Knap e Milan Kunc nel 1979 (da notare che questi tre artisti lavoravano ognuno nella propria cíttá, rispettivamente a Norimberga, New York e Colonía), che "è stato di grande importanza per l'influenza sulla grafica pseudo-naive. . . Dall'inizio il triumvirato si sforzava di andare verso l'arte figurativa, volendo essere una riflessione della vita "normale". I lavori narrativi del gruppo Normal irradiavano una naiveté con reminescenze da libri illustrati e poiché riguardavano ciò che piace alle masse, hanno messo in discussione la contemporanea concezione dell'arte. Il gruppo Normal attirava l'attenzione con pitture di tipo pubblicitario poste in luoghi pubblici. Il gruppo teneva queste azioni di pitture a Bonn, Dusseldorf, Parigi e in occasione del Times Square Show a New York. Nella maggior parte di queste pitture il gruppo mostrò come avrebbe preferito raffigurare il mondo: un tranquillo e soleggiato paesaggio, una chiesa e una madre col bambino. Volevano ricordare agli abitanti delle metropoli i valori che forse avevano dimenticato." (1). Perché un artista come Jan Knap, che si afferma dunque in un clíma di rinnovato interesse per il bagaglio tradizionale della pittura, ha incentrato fin da subito il proprio lavoro sul rapporto con la raffigurazione del sacro? Verrebbe da rispondere con il titolo di un'opera di Gianmarco Montesano, perché il cuore dell'arte è cattolico: "il Sacro Cuore, l'iconografia cattolica, i Santini costituiscono l'unica vera terapia capace di sottrarre l'anima europea alla banalizzazione delle estasi massificate. Grande Rimosso, pregnanza triviale, scarto e rischio, separazione ontologica e condízíone di guerra, veritá fazíosa, tensione, passione e Croce, ecco il Cuore Cattolico dell'Arte. Di un'Arte che, finalmente, ha ritrovato l'iniziale maiuscola." (2). Ancora, a rincarare la dose, una dichiarazione intelligente e provocatoria di Marco Cingolani: "spesso mentre faccio delle conferenze e vedo il pubblico svogliato, dico con granitica certezza che la pittura è una questione cattolica: immediatamente le menti si svegliano, gli sbadigli si interrompono e iniziano le contestazioni, spesso insultanti. Tutti, dico tutti, magnificano i graffiti dei primitivi, il calligrafismo orientale, oppure la sconosciuta pittura greca. Un pittore che stimo mi scrisse addiritlura una lettera di fuoco, non capiva come un artista potesse riabilitare l'inquisizione. Queste discussioni mi divertono, perehé nel nostro mondo dell'arte poche cose fanno imbestialire come il cattolicesimo, rivelando un'ottusitá e uno schematismo culturale veramente imbarazzante." (3).
     Oltre a essere un pittore, Jan Knap è uno studioso di storia dell'arte. Come tale, sa perfettamente che per secoli questa si è retta sui rapporti con la committenza religiosa. Prima dello sviluppo dell'arte borghese, cominciato nel XVIII secolo, prima dell'allontanamento ideologico dal tema del sacro, era impensabile uno sviluppo estetico al di fuori della necessitá di raccontare per immagini temi che avessero un'implicazione morale ed edificante. I grandi periodi della storia dell'arte sono stati contrassegnati dalla riflessione stilistica entro recinti ben delimitati, trasmessi nel DNA di generazione in generazione. Per di più il pittore, svincolato dal problema del soggetto e del tema, ha potuto sperimentare e perfezionare quelle soluzioni formali che, alla lunga, hanno creato la distinzione tra la grande pittura e le prove più anonime. Mentre in Italia all'artista veniva chiesta una visione convincente, affabulatoria e pseudo propagandista (cosa che non ha certo impedito il sorgere di innumerevoli capolavori), in altri Paesi del vecchio continente, soprattutto nel Nord e nella Mitteleuropea, si è diffuso un sentimento molto più laico della religiosità, improntato su scorci di vita quotidiana, intessuti di una morale comune e popolare, più favola che parabola, più prosaica che eroica. 
     Buona parte della critica ha giustamente osservato i legami tra la pittura di Jan Knap e questa idea elegiaca e semplice del religioso (4). Eppure, come ha scritto Achille Bonito Oliva: "Per Knap la voluta e francescana elementarità dell'immagine nasce dalfesigenza di restare sempre dentro il segno del visibile, dentro la possibilitá di poter continuamente verificare i passaggi del processo creativo e assecondarlo mediante la sicurezza acquisita della tecnica." (5). Questa pittura iperfigurativa di Knap, subito riconoscibile, che si attorciglia su temi e soggetti consueti, compie da oltre vent'anni un passo deciso verso la cittadinanza concettuale della pittura stessa. Il repertorio, l'inventario di immagini familiari consente infatti all'artista di trasferire altrove la questione, come si suol dire "passare oltre", immergendosi direttamente nel linguaggio. Cosi un'analisi non eccessivamente contenutistica ci farà scoprire preziosismi sintattici, straordinarie abilità al limite del virtuosismo all'interno di una trama compositiva molto semplice ed efficace: ammaliandoci con le immagini e le storie, Knap ci invita in realtà a riflettere sull misura formale dell'opera.
      Osservando in sequenza i dipinti che Knap ha realizzato nel corso degli ultin decenni ne emerge l'appartenenza a quella categoria di artisti che predilige muoversi per spostamenti minimi, che non ha necessità di compiere continue rivoluzioni copernica ne e che, per contro, imposta buona parte del lavoro sulla ripetizione quotidiana, maniacale esercizio della pittura, raggiungimento di una sintesi cristallina nella composizione.
      Questo abbassamento di toni aveva giá un gran valore nell'epoca del contenutism visivo e della riscoperta degli espressionismi che ha accompagnato buona parte df coevo ritorno alla pittura (in Italia la Transavanguardia, in Germania i Nuovi Selvagg negli Stati Uniti il New Abstract Expressionism). Ma è dagli anni '90 a oggi che il lavor di Knap diventa, paradossalmente, più incisivo e attuale, perché tutta 1'arte e la cultur dopo 1'abbuffata e gli eccessi degli '80, spingono sul versante del quotidiano, un ideal più a misura d'uomo, sottile, ricercato e infine attraversata da una leggera inquietudinc I quadri recenti di Jan Knap inscenano una sorta di Family Life all'aperto, posizionar dosi in quella linea di pittura colta che parte dal `700 francese, si snoda nell'Impressionismo per approdare nell'alveo del concetto. L'iconografia continua a essfre fresca e stimolante, ma non può costituire l'unica coordinata interpretativa, poiché la trasmissione di valori edificanti ed elegiaci lo riserba da qualsiasi rischio di semplicismo moralista. In questo senso Knap deve essere letto come un pittore minimale, che si raf porta con una tradizione giá estranea all'occidente eppure perfettamente adattata a nostro sguardo, ormai lontana da quegli elementi naif che lo caratterizzavano ai teml di Normal. E' un raro esempio di pittura intellettuale, amata da un pubblico tanto vast quanto competente che ne apprezza la delicatezza e il suo progressivo raffinarsi, senza per questo essere messo di fronte a drammatici aut-aut.

Note 
Martijn van Nieuwenhuyzen, Jan van Adrichen, Milan Kunc, in Flash Art n. 139 maggio - giugno 1987.
Gianmarco Montesano, Confessioní di un reazionario, Parigi novembre 1979. Alessandro Romanini, Marco Cingolani, "Conversazioni", in Narco Cingolani LY~ith a Little Help from my Friends, cat. Palazzo Ducale, Massa 2003.
Mi riferisco soprattutto agli ottimi testi di Elena Pontiggia per i cataloghi della Galleria Toselli, Milano pubblicati nel 1993 e nel 2001.
Achille Bonito Oliva, "L'arte sacra di Jan Knap" in , Jan Knap, Galleria via Eugippo e ex Chiesetta S. Anna, San Marino, ed. Skira, 2000.  



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