KNAP
JAN - TEXTS
Achille Bonito Oliva
L'arte santa di Knap
(2000 by Skira editore, Milano)
"Che
cos'è la melanconia medievale? La coscienza che síamo qui solo
per un attimo? L'incertezza di tutti i valori cui noi vogliamo
assolutamente dare importanza, perdendo la sicurezza in altri valori che
noi non vogliamo considerare. Da questo viene la nostra ríbellione? Non
ci sono architetture aeree fino a quando questo dilemma non è
risolto"(Jan Knap, da un'intervista a Lisa Licitra Ponti).
Per l'artista ceco l'arte deve affrontare la complessità di
queste domande con le armi specifiche del linguaggio visivo, capaci di
rappresentare il pathos evidente di tale posizione.
Per Knap la voluta e francescana elementarità dell'immagine nasce
dall'esigenza di restare sempre dentro l'ambito rigoroso del visibile,
dentro la possibilità di poter continuamente verificare i
passaggi del processo creativo e assecondarlo mediante la sicurezza
acquisita della tecnica.
La tecnica in questo caso è anche disciplina spirituale e non
soltanto conoscenza nozionistica di un'abilità manuale. La
riduzione destrutturante delle tecniche compositive aiuta l'artista a
tenersi fuori dallo spreco di atti inconsulti e nello stesso tempo
dentro la libertà istintiva di gesti formulati impulsivamente.
"Creare, con poco, un'abbondanza spirítuale", questo é l'imperativo,
portato verso un atteggiamento di scarnificazione, di naturale
mortificazione delle apparenze, capace di far emergere appunto un'abbondanza
spirituale che è sempre il portato di un libero comportamento.
Ma non si tratta di mimare la libertà della natura, il suo stato
brado, bensì di
assumere la capacità anticipata del caos di strutturarsi secondo
una potenzialità cosmica, un sistema di relazioni in cui
convivono apertamente particolare e universale, ordine e disordine,
microcosmo e macrocosmo. Dunque l'artista non combatte contro natura, né
cerca di integrarsi in essa, cerca semmai di trovare un registro
espressivo capace di rendere fecondo il linguaggio adoperato. In questo
senso Knap si pone demiurgicamente di fronte al linguaggio, armato della
capacità di suscitare nuove realtà dentro l'alveo del
linguaggio visivo, di fare germogliare nuove immagini dentro il deposito
d'energia fantastica sedimentata sotto il suo velo. Il processo creativo
consiste in un'azione sistematica di scavo, contrapposto all'azione
tipica della natura che è sempre un mettere, una crescita
organica e rigogliosa che afferma il principio dello sviluppo e della
proliferante dilatazione.
"La natura può permettersi la prodigalità in tutto,
l'artista dev'essere in ogni momento parsimonioso. La natura è
feconda fino alla confusione, l'artista deve essere invece riservato.
Inoltre è essenziale, ai fini del risultato, non mettersi a
lavorare di un fiato a un'impressione figurativa definita fin da
principio, ma dedicarsi completamente al divenire della singola parte
che si sta dipingendo. L'impressione generale si fonderà quindi
su considerazioni d'economia: ridurre l'effetto del tutto a pochi
registri. Volontà e disciplina, ecco tutto: disciplina nei
riguardi dell'intera opera, volontà nei riguardi delle singole
parti dell'opera. Qui volontà e potere in pratica coincidono: chi
non può, nemmeno può volere. L'opera si sviluppa dalle
singole parti, mediante la disciplina che guarda al tutto."
L'economia della creazione artistica richiede una disciplina
attraversata dall'istinto e anche dalla perizia e memoria stilistica di
Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Beato Angelico fino al cubismo e
alla transavanguardia. L'impulso creativo deve cercare l'inciampo
della sapienza del particolare, deve incontrare la resistenza della
volontà formale, capace di trasformare l'impeto in un soffio
continuo, capace di distribuire la sua temperatura lungo tutte le rotte
dell'immagine.
Clima solare e clima lunare in Knap si intrecciano indissolubilmente
dentro il calore scarnificato dell'opera, che sopporta ogni eclettismo,
geometria e segni nebulosi. L'artista deve essere capace di spogliarsi
di tutte le tentazioni mondane, nel senso che non deve avere il
narcisismo di abbandonarsi al puro piacere del segno. Il vero piacere
è quello del rigore, del risultato conseguito. Severa è la
pratica creativa, disinvolta anche nella sua teorizzazione fatta di
descrizioni e rimandi al mondo circolare dell'immagine, al suo universo
segnico, fatto di punti, di linee e puro movimento. L'elementaritá non
nasce da un falso primitivismo, da una retorica regressione verso gli
albori dell'arte, bensí dalla sistematica spoliazione delle
apparenze.
La grafia di Knap è gravida di perfezione, intesa come rigore
morale, come capacità dell'artista di tendere verso un movimento
di perenne insoddisfazione, che lo porta a un lavorio senza soste,
a un'elaborazione costante fatta di assalti minuziosi che portano
inevitabilmente verso "la felicità", verso la
constatazione di una raggiunta capacità. Questo è il fine
eudemonistico dell'arte, tutto interno alla sua stessa pratica, all'artigianale
e nello stesso tempo mentale elaborazione dell'immagine.
Perché il segno è portatore di una sua storia, di un'essenzialità
che soltanto l'artista può nuovamente raggiungere, ogni volta,
anzi volta per volta, senza mai potersi abbandonare a un risultato
definitivo. La figurazione artistica si può raggiungere soltanto
avendo ben chiara la differenza tra la capacità di notare cose
visibili e quella di far emergere l'invisibile.
In questo caso è necessario uno sforzo, un'applicazione
sistematica capace di far emergere dati fuori dalla percezione comune.
La formazione dell'immagine conta molto più della forma
stessa, in quanto la prima denota un cammino ininterrotto su cui
l'artista si muove per tutta la sua opera, che poi è la sua vita
stessa; la seconda denota invece il singolo risultato, la sosta di uno
statico narcisismo che si compiace di fronte all'elaborato dell'opera.
La spinta parte da un'ideale originalità a cui l'artista
deve attenersi per compenetrare di questa primaria energia le singole
parti e l'insieme della composizione. L'artista deve esercitare il suo governo
creativo sull'opera.
La formulazione è fatta di scrittura, un continuo di segni
che si dipanano ininterrottamente sulla superficie, tela o carta, piena
di slittamenti e inattesi risvolti, tutti tesi a suscitare l'apparizione
dell'essenzialitáà, dell'essenza visibile. L'esperienza dunque
costituisce il valore su cui poggiare il lavoro dell'arte e anche il
valore ultimo da conseguire, mobile acquisizione che spinge ad altre
awenture creative, a un esercizio continuo che mette sempre in
discussione i dati acquisiti. L'arte di Knap diventa una perenne
spoliazione del già esistente, a favore di un ulteriore passaggio
in una dimensione che corre tra l'indeterminazione di partenza e la
calibratura di un risultato essenziale.
Il risultato si manifesta lentamente agli occhi stessi dell'artista,
apparizione di quel segno e di nessun altro possibile, svelamento ed
epifania di un'immagine che ha la terribilità dell'essenza, della
sostanza invisibile, perché ormai già divisa, separata e infine
riunificata in una relazione mobile con il tutto. Fino a
questo momento l'artista al lavoro continua a governare e manovrare il
linguaggio, mediante accelerazioni e rallentamenti, spunti analitici e
affondi sintetici, capaci tutti insieme di portare all'attimo folgorante.
La
folgore scocca sotto i colpi pazienti dell'applicazione e assorbe
miracolosamente dentro il proprio bagliore lo sforzo e la memoria
dello sforzo, l'attesa e la speranza. Una speranza pervasa di passione
che conosce il rigore indispensabile per tendere al momento di grazia.
Nell'arte non esiste miracolo fuori dalla possibilitá di meritare l'evento
desiderato. L'apparizione del segno awiene dunque silenziosamente e
progressivamente, come svelamento lento governato dall'adesione dell'artista
al proprio immaginario: egli si abbandona con un movimento ancorato alla
perizia paziente della mano e della mente all' automazione psichica, alla
pratica creativa dell'immagine.
Le trame del profondo trovano un'adesione nella trama del linguaggio
visivo e l'approdo a un segno: un lampo attraversa il cielo, condensante
lo spazio e il tempo, per annunciare il labirinto dell'arte, dove la
vita e la morte si intrecciano nel movimento della forma. "Le
vecchie immagini bizantine della Madonna, dure, rigide, spesso
terrificanti, inducono molti cattolici alla venerazione, molto più
che le dolci Madonne di Raffaello" (R. Otto, Il sacro). Questo
significa che il contenuto prevale sulla forma e l'arte diventa
strumento non di elevazione ma di soggezione.
L'arte contemporanea si è affrancata dalle servitú
contenutistiche e cerca sempre il movimento della forma capace di
trasfigurare ogni tema e portare sulla soglia del linguaggio ogni empito
e slancio. Il linguaggio diventa il filtro attraverso cui passano segni,
simboli e significati che vengono come vivificati e nello stesso tempo
rielaborati nel passaggio della forma.
L'arte di Knap in questo senso trova il valore della santità in
se stessa, in quanto trasfigura ogni dettato visivo in un segno nuovo
capace di dare durata e fissità esemplare all'istante e al
transeunte. L'arte è santa perché realizza il miracolo di dare
durata all'impossibile durata della vita.
Da Raffaello in avanti la terribilità del sacro viene in qualche
modo assorbita dalla coscienza dell'artista di operare dentro i confini
del linguaggio che crea sempre uno spostamento dei segni e dei simboli,
adoperati ora al servizio della macchina visiva tesa all'immagine. La
santità dell'arte di Knap risiede nella capacità
rassicurante del linguaggio che fonda innanzitutto il suo valore sulla
propria autonomia formale, sulla capacità di formalizzare l'ispirazione
in un sistema visivo emancipato da qualsiasi servitù iconografica.
Specialmente l'arte contemporanea, in particolare quella del nostro
secolo, ha
evidenziato anche didatticamente tale emancipazione costruendo l'opera
come un universo autonomo di cui l'unico artefice è l'artista.
Il movimento della forma determina questa qualità costitutiva
dell'arte, quella di rivolgersi a qualsiasi universo preesistente di
immagini, di credenze e di alterazioni spirituali, e nello stesso tempo
incunearle dentro la forza centrifuga del linguaggio che le risalta
attraverso l'elaborazione di una forma inedita. L'intensità del
risultato determina il passaggio del sacro, quando si sfiorano i primari
e profondi problemi strutturali della vita e della morte, alla santità
dell'arte che sottrae l'iconografia ad aspetti geografici e devozionali
rompendo la convenzione visiva attraverso l'immagine rinnovata della
ricerca linguistica. Dalle avanguardie storiche alle neoavanguardie,
dalla transavanguardia all'ultima produzione artistica, quando l'arte ha
affrontato l'iconografia religiosa l'ha fatto non in termini iconoclasti,
dunque contenutistici, ma con spirito e religiosità laici fondati
su una coscienza del valore della forma rassicurante, quella che ci fa
parlare di arte santa.
La coscienza dell'artista contemporaneo di essere egli artefice della
nuova realtà linguistica nasce dalla consapevolezza di essere
autore di una creazione che sfiora la Creazione, quale soggetto di un
arbitrio visivo non assolutamente preesistente al suo intervento.
Certamente il bisogno della creazione nasce da un desiderio di
immortalità che determina la necessità di lasciare un
segno racchiuso in una esemplaritá capace di sfidare l'irresistibilità
del tempo. In questo senso l'arte sfida la morte e assume la cadenza di
un conflitto che non riguarda la mondanità bensi una profonda
esigenza. Nato attraverso la perfezione della forma Knap è
autorizzato ad accedere a questa possibilità.
Forse è anche il segno di un riconoscimento profondo di ogni
precedente creazione: il microcosmo dell'opera contro il macrocosmo dell'universo.
Da qui anche la persistenza di quest'arte che resta una profonda
esigenza dell'umanità. Soltanto la perfetta completezza della
forma permette di fondare la santità dell'arte, una delle ultime
forme di spiritualità dell'uomo moderno, dopo la teologia di
tante impossibili rivoluzioni succedutesi nel corso dei secoli.
Jan Knap è dunque artefice, opera sui materiali depositati dentro
la sua coscienza, nel magma della sua sensibilità che affronta la
prova elaborata dell'opera, del risultato compiuto, il solo capace di
garantire e di garantirgli lo statuto demiurgico. Knap, sulla scia dell'arte
moderna, dal manierismo in avanti, ha spento la terribilità sull'elaborazione
rassicurante del linguaggio, ha acquisito il legittimo fine della santità.
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